Quali differenze ci sono tra topo e ratto?

Ultimo aggiornamento: 20.04.24

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C’è chi li adotta e cura come comuni animali da appartamento, e chi li teme, poiché infestanti e portatori di malattie. Scopriamo in che cosa differiscono. 

 

Spesso si tende a pensare che siano la stessa cosa, eppure in realtà sono molto diversi tra loro. Inoltre, nonostante facciano parte della stessa famiglia, quella delle Muridae, ne esistono diverse sottospecie, ognuna delle quali ha delle caratteristiche, sia fisiche sia comportamentali, molto differenti. Ma qual è, dunque, la differenza tra topo e ratto? In questo articolo proveremo a spiegarvelo, così da aiutarvi a riconoscerli in caso decidiate di acquistarne uno oppure, al contrario, volete mandarli via dalla vostra casa.

 

Topo di campagna

Conosciuti col nome scientifico di Apodemus Sylvaticus, si tratta di roditori dalle piccole dimensioni presenti sul territorio italiano fin dal Pleistocene. Possono essere altamente infestanti così come i ratti giganti, tuttavia, il loro habitat naturale è principalmente la campagna e il sottobosco, dove possono reperire cibo senza problemi: ghiande, nocciole, funghi oppure lumache.

Tuttavia, quando trovano un luogo accogliente e caldo, come una cantina oppure una soffitta, tendono a nidificare e procreare molto velocemente, infestando le case. Ciò che preoccupa di più le famiglie non è tanto la presenza dei roditori, quanto più le loro feci, veicolo di numerose malattie come la leptospirosi.

Il loro aspetto però è piuttosto simpatico: hanno grandi orecchie, un muso a punta, lunghi baffi e una coda di circa 9 cm, inoltre, anche il corpo è piccolo e la loro colorazione può variare dal beige, grigio chiaro oppure marrone.

Topo di fogna

Meno amati dai precedenti, il loro nome scientifico è Rattus norvegicus, ma è conosciuto anche con il nome di pantegana, ratto delle chiaviche, ratto grigio, o surmolotto. Si tratta di animali originari dell’Asia, trasportati in Europa probabilmente durante i viaggi commerciali in Cina da parte degli esploratori. Nonostante siano sul territorio occidentale da secoli, sono considerati alloctoni (durante il periodo medievale la specie presente nel nostro continente era infatti il ratto nero, quasi decimato dall’esemplare asiatico) e altamente infestanti.

Non si tratta affatto di topi giganti, infatti, a differenza dei cugini selvatici, si nutrono di qualsiasi cosa, compresi scarti di cibo, animali morti, pellame e qualsiasi altro oggetto possa riempire il loro stomaco. Sono caratterialmente più aggressivi, hanno il corpo lungo, zampe grandi e orecchie piccole, inoltre, la coda è grossa e priva di pelo. La loro colorazione varia dal grigio scuro al marrone quasi nero, inoltre, sono ricoperti da uno strato di grasso protettivo che fa sembrare il loro manto lucido.

Non vivono nelle zone naturali, ma principalmente in città e nelle fogne, possono nuotare e arrampicarsi senza problemi fino ai piani più alti, raggiungendo appartamenti anche al quarto o quinto piano di un palazzo. Sono portatori di varie malattie: accusati di aver portato la peste nel 1300, possono trasmettere la leptospirosi, rabbia, salmonella e il tifo murino attraverso feci, urina, pulci e zecche.

 

Animali infestanti o da compagnia?

Di sicuro avere una pantegana gigante in casa non deve essere piacevole per molti, eppure, da qualche decennio a questa parte tali roditori sono diventati degli animali da compagnia alquanto gettonati. Tutto è dovuto principalmente alla loro intelligenza: non è un caso che siano stati ampiamente adoperati per gli esperimenti di natura logistica, come per esempio i problem solving e i labirinti.

Il topo domestico si può ammaestrare, così come il ratto, tuttavia, le due specie sono molto differenti tra loro, in quanto la seconda tipologia è più grossa e richiede un tipo di gabbia dalle dimensioni più ampie, inoltre, l’alimentazione deve essere molto varia, e comprendere anche cibi di origine animale, come carne e formaggi.

Le colorazioni del ratto domestico sono ben lontane da quelle della pantegana delle fogne: possiamo trovare esemplari dal manto bianco, a macchie, marrone chiaro, scuro o nero. Tuttavia, è possibile scegliere tra numerose razze, che si differenziano tra loro per la dimensione del corpo, della coda, oppure delle orecchie.

 

Cosa mangiano i topi

I roditori appartenenti alla famiglia dei muridi, sia per quanto riguarda la specie selvatica o quella cittadina, sono generalmente onnivori, ovvero mangiano tutto ciò che trovano a disposizione.

Il topolino di campagna però, si alimenta principalmente di ghiande, noci, nocciole, cereali, ma anche funghi, germogli e talvolta insetti. Gli esemplari maschi fanno una dieta prevalentemente carnivora, mentre le femmine tendono a ingerire più vegetali rispetto al sesso opposto. È molto facile identificare le tracce in giro, poiché sono soliti nascondere il cibo pochi centimetri sotto terra e in un solo punto, a differenza degli scoiattoli che al contrario scavano tante buche differenti.

La pantegana invece, conosciuta proprio a causa della sua capacità infestante, è onnivora esattamente come la specie precedente, tuttavia, non basa affatto la sua dieta solo su ciò che può reperire in un ambiente naturale. Può infatti ingerire qualsiasi cosa le capiti a tiro: la spazzatura per esempio, che può contenere piccole tracce di cibo, diventa un gustoso pasto per il roditore. Ciò che rende poco piacevole la loro presenza, è che l’alimentazione non si limita solo ai generi che noi consideriamo alimentari, poiché è in grado davvero di mangiare qualsiasi cosa, compresi i tessuti di origine animale, come la pelle, oppure le saponette.

Per questo motivo, quando si sospetta la presenza di una colonia di ratti in giardino, in soffitta oppure in cantina, e non si riesce a debellare con l’utilizzo di trappole, è necessario, purtroppo, utilizzare il veleno per topi. Si tratta di una sostanza molto pericolosa a base principalmente di bromadiolone, dall’aspetto pastoso e di colore rossastro, contenuta all’interno di una bustina di plastica sigillata. È altamente tossica, e anche solo toccarla può essere letale, provocando una morte lenta e dolorosa.

Per questo motivo, è sconsigliato l’uso in presenza di bambini o animali domestici: quest’ultimi soprattutto sono attirati dall’odore, e in caso di ingestione accidentale, è fondamentale la tempestività, portando l’animale dal veterinario che inietterà immediatamente l’antidoto. Per contrastare l’effetto del bromadiolone viene utilizzata la vitamina K, che riesce a ripristinare il normale flusso sanguigno e bloccare le eventuali emorragie interne causate dal veleno. I sintomi da intossicazione sono vari e potrebbero includere anche difficoltà motoria, iper salivazione e perdita dell’appetito.

Alcuni esperti consigliano di provare a far vomitare il cane spruzzando acqua e sale direttamente in gola, tuttavia, si tratta di un’operazione non facile, che potrebbe causare anche il soffocamento del piccolo pet. Per questo motivo, chi non ha dimestichezza con tali manovre dovrebbe recarsi in un ambulatorio veterinario il prima possibile.

 

 

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