Il disastro ecologico e le accuse a Jean Paul Gaillard

Ultimo aggiornamento: 25.04.24

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L’inventore del Club community Nespresso è stato ritenuto responsabile di un disastro ambientale. Pentito, ha cercato di correre ai ripari.

 

Nespresso è attualmente il colosso mondiale per quanto riguarda la produzione di macchine automatiche e relativo caffè in capsule. Ma a chi deve la sua fortuna? Tutto è cominciato a Losanna, in Svizzera, alla fine degli anni ’80, quando un semplice impiegato Nestlè mise a punto un particolare sistema che avrebbe velocizzato i tempi di attesa tipici della moka. 

Fu così che, in meno di una decina d’anni, la multinazionale incominciò a proporre sul mercato i propri articoli. Fu però Jean Paul Gaillard, a quel tempo amministratore delegato dell’azienda, che li fece conoscere in tutto il mondo, creando un vero e proprio fan club Nespresso. 

Molti attori famosi ne fanno parte, come per esempio George Clooney, testimonial delle stesse pubblicità della compagnia. Questo permise ai clienti più affezionati di entrare all’interno di una popolare community, in cui è possibile avere un contatto diretto con l’azienda stessa, con gli estimatori della bevanda di tutto il mondo e di innalzare il successo del brand. 

Dunque, grazie all’intuitiva strategia di marketing attuata da Gaillard, le vendite delle macchine e capsule Nespresso salirono alle stelle. Se da un lato la Nestlè brindava alla vittoria, dall’altro, agli inizi del 2000, incominciarono ad arrivare le prime avvisaglie di un probabile disastro ambientale dovuto all’eccessivo consumo e l’errato smaltimento dei contenitori esausti. 

Nel 2015, quando ormai il danno era già abbastanza elevato, l’azienda lanciò il programma The Positive Cup, in accordo con il consorzio del riciclo e recupero dei prodotti in alluminio. Il progetto prevede lo smaltimento delle capsule all’interno dei negozi ufficiali Nespresso e nelle isole ecologiche. 

Ciò però non basta: non soltanto è unicamente il 5% degli scarti che viene portato nei punti di raccolta, ma ci si rende conto che la produzione dei contenitori in alluminio era, ed è, un tale dispendio di energia, che si è dovuto costruire delle centrali elettriche adibite esclusivamente alla fabbricazione di questi articoli.

Kill the K Cup

Se non l’avete mai visto, si tratta di un video virale che narra di come, in un futuro distopico, un mostro formato di capsule e contenitori di plastica, tenterà di distruggere il pianeta. I protagonisti, con l’aiuto dell’esercito, si trovano a dover uccidere il K Cup, prima che lo faccia lui.
La motivazione è abbastanza chiara: nel 2014 la produzione di tali involucri ha raggiunto livelli impareggiabili. Gli scarti sono talmente tanti, che potrebbero essere utilizzati per circondare il pianeta Terra più di dieci volte.
Per quanto sia solo un cortometraggio, dipinge un quadro, purtroppo, molto realistico. Il consumo di questo tipo di caffè, in Inghilterra, ha superato di gran lunga quello della bevanda in versione solubile. Basti pensare poi che, soltanto nel 2013, sono stati consumati circa 8,5 miliardi di caffè in capsule, aumentando ulteriormente negli anni a seguire. 

Per quanto riguarda i contenitori in plastica, per i quali è richiesta l’estrazione di oli minerali e un gran dispendio di energia, possono essere riciclati solo una volta. Tuttavia, nonostante in questi ultimi cinque anni siano state trovate delle alternative biodegradabili, continuano a essere utilizzati dalla maggioranza della popolazione. 

L’impiego delle cialde, sia in alluminio, sia in plastica, ha continuato ad aumentare la produzione di scarti non riciclabili, a causa dell’errata gestione della raccolta differenziata. Evitando di separare il contenuto residuo all’interno degli involucri, se ne invalida il riciclo, alimentando i rifiuti indifferenziabili.
Dunque, lo slogan del film, seppur surreale e a tratti divertente, dovrebbe far riflettere: “uccidete il K CUP, prima che lui lo faccia con il nostro pianeta”.

 

Ethical Coffee Company

Jean Paul Gaillard, ormai non più all’interno della multinazionale, dopo aver portato le capsule Nespresso alla massima diffusione, fonda Ethical Coffee Company. Resosi probabilmente conto del problema relativo all’inquinamento e, approfittando del fatto che il brevetto appartenesse ancora a Nestlè, tenta di portare sul mercato dei contenitori compatibili, in materiale biodegradabile.
Tuttavia, nonostante la forte propaganda antinquinamento lanciata dal fondatore, le vendite non raggiungono mai le cifre sperate. La maggior parte dei consumatori sembra non percepire minimamente la problematica ambientale, continuando a preferire la velocità di utilizzo delle capsule in alluminio, e l’immediato smaltimento nell’indifferenziato.

Le compatibili

Alla scadenza del brevetto, Nestlè dà il via libera alle altre aziende di elettrodomestici e torrefazioni, che propongono numerose alternative compatibili con i sistemi Nespresso. Nonostante l’ex CEO abbia tentato il tutto per tutto per evitare di essere battuto dalla concorrenza, compresa la presentazione di un prototipo funzionante solo tramite capsule arpionate, non c’è nulla da fare. 

Oramai sono più di 100 i brand che forniscono articoli compatibili con le macchine originali ma solo una minoranza di questi è in materiale riciclabile. È il caso dei prodotti Novamont, l’azienda che si occupa della creazione del Mater-Bi, un materiale simile alla plastica, generato dagli scarti del mais. 

Purtroppo però, nonostante l’idea dei contenitori biodegradabili fosse molto valida, all’epoca i costi per la distribuzione erano troppo alti per i consumatori. Nonostante le perplessità iniziali, tra le capsule Nespresso più vendute, oggi è possibile trovare modelli compostabili a prezzi piuttosto convenienti, come quelle Bio Flores.
Tuttavia, vi sono altre alternative riutilizzabili che non alterano il gusto del caffè. Secondo alcuni consumatori ed estimatori dei sistemi automatici, la versione biodegradabile, a contatto con l’acqua calda erogata dalla macchina, rilascia dei residui di materiale che modificano il sapore della bevanda. 

Stesso discorso vale per quelle in plastica, addirittura accusate di rilasciare colla all’interno della tazzina. Questo non accade con i contenitori in acciaio inox: proprio come una moka, vanno riempiti autonomamente della miscela che preferite, sono riutilizzabili un numero di volte infinito e lavabili con sola acqua.
Il processo, però, è lungo quanto quello di una macchinetta del caffè tradizionale e non piace a molti, come anche il suo costo.

 

 

 

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